Colpita dal terremoto del 62 d.c. e sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.c., Ercolano è entrata di diritto a far parte del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO
Come premesso nel mio primo articolo dal titolo “Cosa vedere a Ercolano“, sto scrivendo una guida sulle bellezze di Ercolano, il paese dove vivo. Così, il futuro turista che volesse saperne di più potrà consultare i post scritti da un abitante della città degli Scavi.
Nel primo articolo ho parlato genericamente di Ercolano. In questi articoli, invece, parlerò più nel dettaglio dei singoli luoghi da visitare.
Dunque, in questo articolo ti parlo degli Scavi di Ercolano.
Scavi di Ercolano
Gli scavi di Ercolano hanno restituito i resti dell’antica città di Ercolano, seppellita sotto una coltre di ceneri, lapilli e fango durante l’eruzione del Vesuvio del 79.
Dopo un primo ritrovamento casuale a seguito degli scavi per la realizzazione di un pozzo nel 1709, le indagini archeologiche a Ercolano cominciarono nel 1738 e si protrassero fino al 1765. Poi, ripresero dal 1823 al 1875. Infine, il nuovo scavo promosso da Amedeo Maiuri a partire dal 1927.
La maggior parte dei reperti rinvenuti sono ospitati al Museo archeologico nazionale di Napoli. Invece, dal 2008 il Museo archeologico virtuale (a Ercolano) mostra la città prima dell’eruzione del Vesuvio.
Gli scavi di Ercolano vengono visitati mediamente da 300 mila turisti ogni anno. Nel 1997 sono entrati a far parte della lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
La storia degli scavi di Ercolano
Secondo la leggenda narrata da Dionigi di Alicarnasso, Ercolano venne fondata da Ercole nel 1243 a.C.. Con tutta probabilità, però, fu fondata o dagli Osci nel XII secolo a.C. (come scritto da Strabone) o dagli Etruschi tra il X e l’VIII secolo a.C. Venne, poi, conquistata dai Greci nel 479 a.C. e successivamente passò sotto l’influenza dei Sanniti, prima di essere conquistata dai Romani nell’89 a.C..
Sotto Roma, la città divenne un luogo residenziale per l’aristocrazia romana e visse il suo periodo di massimo splendore con il tribuno Marco Nonio Balbo, il quale l’abbellì e fece costruire nuovi edifici.
In seguito fu colpita dal terremoto di Pompei del 62 e poi completamente sepolta sotto una coltre di fango e materiali piroclastici, a seguito dell’eruzione del Vesuvio del 79. Tale strato, col passare degli anni, si solidificò, formando un piano di roccia chiamato pappamonte, simile al tufo ma più tenero, che protesse i resti della città.
Col passare dei secoli il ricordo dell’antica Ercolano andò sempre più affievolendosi, fino a svanire quasi del tutto.
Il suo ritrovamento avvenne per caso: nel 1709, un contadino di nome Ambrogio Nocerino, detto Enzechetta, durante lo scavo di ampliamento di un pozzo per l’irrigazione del suo orto, nei pressi della chiesa di San Giacomo e del bosco dei frati alcantarini, si imbatté in alcuni pezzi di marmo pregiato.
Un artigiano al servizio del principe Emanuele Maurizio d’Elboeuf, passando in quei luoghi per caso lì notò, e ne acquistò alcuni per realizzare delle cappelle in diverse chiese di Napoli. Il nobile, venuto a conoscenza dei ritrovamenti, acquistò il pozzo, e per 9 mesi, fino al 1711, condusse una prima sommaria esplorazione tramite una serie di cunicoli sotterranei.
Lo scavo del pozzo aveva intersecato la scena del Teatro di Ercolano. Si intuì ben presto che le rovine appartenevano all’antica città scomparsa nell’eruzione del Vesuvio del 79. Gli scavi vennero, però, interrotti per volere della magistratura che temeva possibili danni alle abitazioni soprastanti.
Nel 1738, durante la costruzione della Reggia di Portici, voluta da Carlo di Borbone, un funzionario di questi, Roque Joaquín de Alcubierre, incaricato di tracciare una mappa della zona, venne a conoscenza dei ritrovamenti di un quarantennio prima. Così, ottenuto il permesso dal re, insieme a pochi operai iniziò una nuova esplorazione, e anche in questo caso furono rinvenuti statue, pezzi di marmo e frammenti di iscrizioni e cornici.
Un erudito dell’epoca, Marcello Venuti, che lavorava alla corte nell’ambito della sistemazione della biblioteca e della galleria Farnese, intuì che i reperti provenivano dal teatro e non dal Tempio di Ercole. Fu, quindi, data alle stampe la prima mappa del sito di Ercolano, perfezionata poi nel 1747. L’anno successo, il 1748, venne pubblicata la prima opera sulle scoperte di Ercolano, dal titolo “Descrizione delle prime scoperte dell’antica città di Ercolano”, scritta da Ottavio Antonio Bayardi.
Nel 1750 si affiancò ad Alcubierre anche Karl Weber, il quale studiò a fondo il teatro e i suoi meccanismi di funzionamento. Nel 1760, sempre a Weber, poi, venne l’idea di condurre uno scavo a cielo aperto, visto che le esplorazioni per cunicoli collegati a pozzi di discesa e pozzi di aerazione, oltre a essere molto scomode in quanto le dimensioni dei cunicoli talvolta non superavano il metro di larghezza per un’altezza massima di 1 metro e 80 centimetri, soffrivano di una scarsa illuminazione e comportavano il pericolo di crolli e di ristagno di gas velenosi.
A tale proposta si dissero favorevoli sia Luigi Vanvitelli sia Ferdinando Fuga. Fu, invece, contrario Alcubierre, il quale era in forte opposizione con tutto l’operato del collega, motivando la propria opposizione col timore, in caso di terremoto, di possibili crolli dei palazzi circostanti la zona degli scavi. L’idea fu definitivamente abbandonata a seguito della morte prematura di Weber nel 1764.
Nel 1760, lo Weber aveva scoperto casualmente la Villa dei Papiri (con un carico di statue e oltre mille papiri carbonizzati). Così, nel 1755 venne inaugurata l’Accademia Ercolanese per lo studio del sito. Poi, nel 1751 tutti i reperti vennero trasferiti nella Reggia di Portici (trasformata in un vero e proprio museo visibile solo al re e ai suoi ospiti).
Nel 1768 si affiancò ad Alcubierre Francisco La Vega, il quale iniziò una nuova esplorazione del teatro e tramite l’utilizzo di una pompa idraulica per rimuovere l’acqua piovana in eccesso, raggiunse il piano di calpestio della terrazza dietro la scena, a una profondità di quasi 10 metri sotto il livello del suolo.
Nel 1771 l’interesse per Ercolano andò scemando a causa del ritrovamento di Pompei, la quale presentava una modalità di scavo molto più semplice (trattandosi per lo più della rimozione di ceneri e lapilli) e offriva una maggiore quantità di opere e reperti. Nel 1780 le indagini a Ercolano cessarono definitivamente.
Sull’onda del successo degli scavi di Pompei, nel 1828, sotto Francesco I delle Due Sicilie, ripresero le ricerche a Ercolano. In questa nuova fase cambiò anche la tecnica esplorativa, passando dai cunicoli agli scavi a cielo aperto. Tuttavia si contarono solo pochi ritrovamenti e i lavori vennero interrotti nel 1855.
A partire dal 1869, sotto la direzione di Giuseppe Fiorelli, ci fu una breve campagna di indagini, inaugurata da Vittorio Emanuele II, ma per lo stesso motivo della precedente, venne sospesa nel 1875.
La piccola area scavata era, però, minacciata dall’avanzare della moderna città di Resina, e nel 1904 l’archeologo statunitense Charles Waldstein propose al governo italiano una cordata internazionale per effettuare nuovi scavi. La proposta, vista come lesiva per il prestigio dello Stato, venne rifiutata.
Con la nomina a capo della Soprintendenza agli Scavi e alle Antichità della Campania nel 1924 di Amedeo Maiuri, venne attuato un programma di espropri al fine di evitare ulteriori danni e proteggere le rovine di Ercolano dalla forte espansione edilizia.
Poi, il 16 maggio del 1927 partì una nuova campagna di scavi. Grazie alla rimozione di oltre 250mila metri cubi di tufo riportò alla luce circa 4 ettari dell’antica città. Si tratta del parco archeologico visibile ancora oggi. Gli scavi si interruppero nel 1942.
Dal termine della guerra al 1958 si provvide alla messa in sicurezza e al restauro di tutto il patrimonio architettonico rinvenuto. L’idea del Maiuri fu quella di realizzare una sorta di museo a cielo aperto. Gli edifici appena rinvenuti, grazie a un team di archeologi, muratori e giardinieri, venivano subito avviati a restauro. In un secondo tempo, tutte le pitture venivano restaurate, mentre i reperti venivano esposti in varie teche.
L’esperimento durò solo pochi anni. In seguito, sia per l’elevato costo di manutenzione, dovuto agli agenti atmosferici che interferivano con i materiali organici carbonizzati deteriorandoli, sia per il crescente turismo e per la possibilità di furti, quasi tutte le teche vennero smantellate.
A partire dal 1980, sotto la direzione di Giuseppe Maggi, vennero alla luce importanti novità sulla storia di Ercolano. Infatti, fino a quel momento, si era ritenuto che la popolazione della città, risparmiata in un primo momento dalla furia eruttiva, fosse riuscita a mettersi in salvo (ipotesi suggerita dal ritrovamento di pochi scheletri nell’ambito della cerchia urbana). Invece, nuove indagini, condotte con l’ausilio di idrovore nei pressi della linea di costa del 79, consentirono di individuare, il 16 gennaio 1981, un primo gruppo di scheletri, ammassati al di sotto di alcune arcate che sostenevano la terrazze delle Terme Suburbane e dell’Area Sacra e utilizzate per la manutenzione e il ricovero delle imbarcazioni, oltre a una barca.
Negli anni successivi furono recuperati altri resti umani (per un totale di oltre 300 individui) il che portò gli archeologi alla conclusione che la maggior parte della popolazione di Ercolano avesse cercato la fuga via mare, sostando sulla spiaggia durante la notte, dove venne sorpresa dalle colate piroclastiche.
Nel 1997, gli scavi di Ercolano (insieme a quelli di Pompei e Oplonti) entrarono a far parte della lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
Tra il 2002 e il 2006 vennero raggiunti nuovi ambienti della Villa dei Papiri.
Nel 2001 venne attivato il programma “Herculaneum Conservation Project“, in collaborazione con la fondazione Packard Humanities Institute, per la conservazione e la valorizzazione del sito, oltre che alla realizzazione di nuove campagne di scavo.
Nel 2014, un accordo tra la fondazione e il MiBACT, portò l’estensione del area archeologica 5 171 m², prevedendo la demolizione di edifici in rovina che insistevano sulla città antica e la messa in sicurezza e il miglioramento del collegamento tra la città e il sito.
Nel 2016 fu creato il Parco Archeologico di Ercolano, l’ente per la gestione dell’area archeologica, il quale cominciò la sua attività a partire dal 2017.
Urbanistica dell’antica Ercolano
Dell’antica Ercolano sono stati riportati alla luce solo 4 dei 20 ettari totali su cui originariamente si estendeva.
Era protetta da mura con uno spessore che variava dai 2 ai 3 metri e costruite in opera a secco con grossi ciottoli (risalenti al II secolo a.C.), mentre lungo la linea di costa erano in opera reticolata. Dopo le guerre sociali le mura persero la loro funzione difensiva e vennero inglobate da edifici costruiti nelle loro prossimità.
L’impianto urbano era di tipo ortogonale (classico dell’antica Grecia) con incroci ad angolo retto e con i decumani (è il nome che viene dato alle antiche strade) paralleli alla costa, a cui si incrociavano perpendicolarmente i cardini. Questi ultimi, nei pressi delle mura lungo la spiaggia, avevano ognuno una rampa con porta ad arco, in modo tale da consentire un diretto accesso al mare.
Durante l’epoca augustea, le strade furono pavimentate con lastre poligonali di lava. Le strade risultano poco consumate dal passaggio di ruote di carri, in quanto, a seguito della conformazione del territorio (ripido) il transito e il trasporto delle merci dal porto al centro cittadino era più agevole per muli e pedoni.
A Ercolano è stata rinvenuta un’unica fognatura che raccoglieva le acque del Foro e quelle degli impluvi, delle latrine e delle cucine delle case che si affacciavano lungo questa via, mentre il resto degli scarichi avveniva direttamente in strada, eccetto quelli delle latrine che erano dotate di pozzo assorbente.
Per l’approvvigionamento idrico la città era direttamente collegata all’acquedotto del Serino, costruito in età augustea e che tramite una serie di condotte in piombo sotto le strade, regolate da valvole e eliminate con gli scavi borbonici, portavano acqua nelle abitazioni. In precedenza venivano utilizzati dei pozzi, i quali offrivano acqua a una profondità che si aggirava tra gli 8 e i 10 metri.
Di Ercolano restano ancora sepolti il Foro, i templi, numerose case e le necropoli. La parte attualmente visibile è stata divisa in diverse insulae (un tipo edilizio che costituiva il condominio dell’antica Roma tardo-repubblicana. Era una abitazione per i più poveri, i ricchi abitavano nella domus), di cui solo 4 (la III, la IV, la V e la VI) sono completamente esplorate.
Case e ville dell’antica Ercolano
La tipica casa di Ercolano era più piccola rispetto a quella di Pompei. Tuttavia, anche grazie alla conversione della città in centro di villeggiatura, le abitazioni erano spesso decorate in modo raffinato e sfarzoso, e precedute da portici con colonne in laterizio (costruiti a seguito del terremoto del 62 come misure antisismiche in modo da rinforzare le facciate e sostenere balconi e ballatoi).
Altra particolarità era l’assenza nell’atrio dell’impluvium, perché quasi tutte le case erano dotate di un proprio pozzo o erano collegate alla rete idrica (entrata in funzione dopo la costruzione dell’acquedotto del Serino).
Insula II
La “Casa del Genio” è così chiamata per il ritrovamento di una statuetta del Genio tutelare che faceva parte di un candelabro in marmo. La casa è ancora in parte sepolta e si può accedere solo attraverso il suo ingresso posteriore.
La “Casa d’Argo” non è stata ancora interamente esplorata e l’ingresso è possibile attraverso un varco realizzato durante gli scavi borbonici. Deve il suo nome a un affresco (scomparso) raffigurante Argo che sorveglia Io.
La “Casa di Aristide” è situata in prossimità della spiaggia e venne scoperta in epoca borbonica, quando gli esploratori la utilizzarono come passaggio per la vicina Villa dei Papiri. Al suo interno venne rinvenuta una statua che in primo momento venne associata ad Aristide, ma che in realtà raffigura Eschine.
Insula III
La “Casa dell’Albergo“, coi suoi oltre 2mila metri quadrati, in posizione panoramica sul mare, è la più grande casa di Ercolano finora rinvenuta. E’ così chiamata in quanto al momento dello scavo fu ritenuta erroneamente un albergo. E’ l’unica della città a possedere un quartiere termale, con decorazioni a mosaico e affreschi in secondo stile nella zona del calidarium.
La “Casa dello Scheletro” è data dall’unione di tre abitazioni (in parte fu esplorata già in epoca borbonica, quando venne spogliata di molti dei suoi reperti). Al suo interno venne ritrovato uno scheletro. L’abitazione fu poi nuovamente scavata nel 1927 dal Maiuri.
La “Casa del Tramezzo di Legno” viene così denominata per via del ritrovamento di una sorta di porta pieghevole in legno (un tramezzo) con battenti sagomati e sostegni in bronzo per reggere le lucerne, con la funzione di dividere l’atrio dal tablino. La casa fu costruita prima della conquista romana e in seguito restaurata in età giulio-claudia.
La “Casa a Graticcio” è un tipo di abitazione plurifamiliare, edificata quasi del tutto in opus craticium (una particolare tecnica, utilizzata per risparmiare, in cui i muri erano molto sottili, con intelaiature in legno e sezioni in opus incertum. L’intonaco veniva poi applicato su due strati di canne, poste prima in orizzontale e poi in verticale, fissati con chiodi).
La “Casa dell’Erma di Bronzo” è una piccola abitazione con pavimento in cocciopesto, decorazioni in terzo stile e impluvium in tufo. Nella casa fu ritrovata un’erma in bronzo del proprietario, di cui è oggi esposto un calco.
La “Casa dell’Ara Laterizia” misura circa 110 metri quadrati ed è suddivisa in 6 ambienti. Dotata di un atrio e di un piano superiore, resistono al suo interno poche decorazioni parietali tutte in secondo stile, particolarmente danneggiate.
Insula IV
La “Casa dell’Atrio a Mosaico” fu costruita in posizione panoramica, sfruttando le antiche mura urbane per il terrazzamento che degrada verso il mare. Il giardino è contornato da un triportico fenestrato, con diversi affreschi e al centro una fontana in marmo la quale era alimentata da un serbatoio posto sul solaio all’ingresso della casa.
La “Casa dell’Alcova” è frutto dell’unione di due abitazioni con due entrate indipendenti e unite tramite una porta nel vestibolo. La prima casa fu pesantemente saccheggiata durante le esplorazioni borboniche, mentre la seconda conserva un pavimento sia in opus sectile sia a mosaico e diverse decorazioni parietali in quarto stile. Un breve corridoio conduce in un ambiente appartato, chiamato alcova.
La “Casa della Fullonica” risale al II secolo a.C. e dispone di due atri, uno senza impluvium (che nel corso del I secolo a.C. fu adibito a fullonica grazie alla costruzione di due vasche per il lavaggio dei panni) e un altro di tipo tuscanico (con impluvium in cocciopesto).
Il nome della “Casa del Papiro Dipinto” deriva da un affresco dipinto sulla porta d’ingresso del cortile, raffigurante un rotolo di papiro, riportante il nome in greco di un poeta e due teche calamarie.
La “Casa della Stoffa” è di dimensioni ridotte. Al suo interno sono stati ritrovati diversi teli e composta da due livelli a cui si accedeva tramite due scale (una posta direttamente sulla strada, l’altra nella bottega).
La “Casa dei Cervi” deve il nome al ritrovamento, nel giardino, di una statua raffigurante due cervi sbranati da cani oltre a quella di un satiro con otre. Grazie al bollo ritrovato su un pezzo di pane carbonizzato, si è risaliti anche al nome del proprietario, ossia Celer, un liberto.
Insula V
La “Casa del Gran Portale” presenta un portale d’ingresso (realizzato a seguito del terremoto del 62) con semicolonne con capitelli in tufo. Internamente è a pianta irregolare, frutto di continui ampliamenti. Tutte le decorazioni sono in quarto stile e inoltre furono rinvenute tre anfore che contenevano ceci, farina e riso.
La “Casa del Sacello di Legno” fu costruita prima della conquista romana (come testimoniato dai resti delle pitture in primo stile). Degno di nota è un armadio in legno, lavorato esternamente con un motivo a colonne corinzie che fungeva anche da larario (al suo interno venne rinvenuta una statuetta raffigurante Ercole).
La “Casa dell’Atrio Corinzio” ha un atrio con sei colonne in tufo e all’interno dell’impluvium è posta una fontana in marmo decorata a mosaico. In diversi ambienti si conservano affreschi in quarto stile e caratteristica è la decorazione a colonne in laterizio.
La “Casa con bottega” apparteneva a L. Cominius Primus (come testimoniato dal ritrovamento di un sigillo), un liberto che svolgeva il lavoro di scriba o actuarius. Su alcune tavolette custodite in una cassetta erano riportate note di operazioni economiche (come l’acquisto di alcuni fondi e il regolamento di confini).
La “Casa del Bicentenario” è così chiamata poiché finita di scavare nel 1938 a due secoli dall’inizio delle indagini archeologiche a Ercolano. E’ costruita in epoca giulio-claudia, completamente in opus reticulatum.
La “Casa del Bel Cortile” fu ristrutturata in epoca claudia, quando alcuni ambienti furono ripavimentati a mosaico e affrescati con pitture in terzo stile. Caratteristico è il cortile mosaicato con scala e ballatoio in muratura per raggiungere gli ambienti del piano superiore. Durante gli anni in cui sono stati effettuati gli scavi, la casa è stata adibita a deposito per la raccolta dei reperti archeologici.
La “Casa di Nettuno e Anfitrite” ha ridato alla luce due lastre in marmo dipinte con la tecnica dei monocromi in rosso, le quali riportano la firma di un certo Alessandro di Atene, lo stesso che dipinse il famoso quadretto delle Giocatrici di astragali (oggi al Museo archeologico nazionale di Napoli). Ricco di decorazioni anche il tablino, che presenta alla parete un mosaico in pasta vitrea raffigurante Nettuno e Anfitrite.
La “Casa del Mobilio Carbonizzato” presenta il classico schema della casa romana con atrio, tablino, giardino, oltre al piano superiore. Risalente all’età claudia fu in seguito ristrutturata, con modifiche agli schemi decorativi, sostituiti con pitture in terzo stile.
La “Casa del Telaio” è costituita da due ingressi, uno che immette nell’officina, l’altro nella casa nel cui portico furono ritrovati i resti di un telaio in legno per la tessitura. Nello stesso ambiente due feritoie avevano il compito di illuminare l’ambiente.
La “Casa Sannitica” risale al II secolo a.C. anche se fu ridotta durante il I secolo a.C.. Presenta nell’atrio colonne con capitelli di ordine corinzio in tufo, decorazioni parietali in primo stile, soffitto a cassettoni con affreschi in secondo stile e impluvium rivestito in marmo. La casa è dotata di un piano superiore raggiungibile tramite due scale, mentre nel tablino si osserva una pavimentazione a mosaico a forma di rombi disposti intorno a una piastrella di rame.
La “Casa di Apollo Citaristica” venne ultimata a seguito del terremoto del 62 dallo smembramento della Casa del Bicentenario e della Casa del Bel Cortile. Al suo interno si ritrovano pitture in quarto stile e resti di pavimento in opus sectile incorniciati in mosaico. Nel tablino sono affrescati Apollo citaredo e Selene ed Endimione.
La “Casa della Colonna Laterizia” ha una superficie di circa 110 metri quadrati, divisa in 7 camere, ma senza alcuna decorazione.
La “Casa con Giardino” è un’abitazione piccola e priva di elementi decorativi, tuttavia presenta un œcus con resti di decorazioni in secondo stile, per lo più paesaggi nilotici, e un grosso giardino, aggiunto forse a seguito del terremoto del 62.
Insula VI
La “Casa dei Due Atri” è così chiamata poiché internamente presenta due atri, uno tetrastilo, l’altro con impluvium e due bocche per la cisterna. E’ dotata anche di un piano superiore (quasi del tutto crollato). La cucina presenta ancora il bancone con il forno, mentre la facciata esterna è decorata con maschere in terracotta.
La “Casa del Colonnato Tuscanico” risale al II secolo a.C., poi profondamente rinnovata e ampliata in età augustea. Del primo periodo conserva il pavimento in cocciopesto dell’atrio mentre al secondo periodo risale il colonnato tuscanico del peristilio, alcune pavimentazioni in marmo e tutti gli affreschi in terzo stile, che risultano essere tra i meglio conservati di Ercolano.
La “Casa del Salone Nero” apparteneva al liberto Lucius Venidius Ennychus, come testimoniato dal ritrovamento di 20 tavolette cerate. La casa conserva ancora gli stipiti, l’architrave e una parte del portone in legno carbonizzati e caratteristico è un ambiente sul fondo del peristilio, decorato in quarto stile, in colore nero, pavimentato a mosaico bianco.
Insula Orientalis I
Addossata alle Terme Suburbane è la “Casa della Gemma” la quale dispone di un quartiere residenziale e un quartiere servile, ricavato a un piano inferiore rispetto al resto della casa, nei pressi del tetto delle terme. Tale quartiere fu costruito in età tardo repubblicana, sfruttando parte delle mura cittadine, con ambienti con soffitti a volta e pavimento a mosaico, ma a causa dei vapori provenienti dalle vicine terme fu riservato alla servitù. Dalla casa provengono una culla in legno con i resti di un bambino, due lastre in marmo con dipinto di Eracle che combatte l’Idra, una sfinge egizia, una cassa ripiena di vasellame in vetro, un sigillo in bronzo e due corniole.
La “Casa del Rilievo di Telefo” appartiene allo stesso proprietario della “Casa della Gemma”, ossia M. Nonius Balbus. Costruita in età augustea, fu completamente restaurata a seguito del terremoto del 62. Le colonne dell’atrio sorreggono gli ambienti del piano superiore. La particolarità dell’abitazione era il gran numero di statue, tutte di scuola neoattica, ritrovate al suo interno, tra cui 8 oscilla in marmo e un altorilievo del mito di Telefo.
Insula VII
La “Casa di Galba“, parzialmente scavata, prende il nome da un busto d’argento, rinvenuto nei pressi dell’ingresso, raffigurante Servio Sulpicio Galba, oggi conservato al museo archeologico nazionale di Napoli. Risalente al periodo sannitico, della casa è osservabile il peristilio con colonne doriche in tufo, la cucina, le latrine e una scala che conduceva al piano superiore.
Insula di Nordovest
La “Casa del Rilievo di Dioniso” è stata scoperta nel 1990 ed è tuttora in fase di esplorazione. Al suo interno conserva intatti ambienti con decorazioni in quarto stile, a fondo rosso. Molti dei ritrovamenti avvenuti nella casa sono a sfondo dionisiaco.
Area suburbana
La “Casa di M. Pilius Primigenius Granianus” è ubicata nei pressi dell’antico litorale e quindi in posizione panoramica, affacciandosi direttamente sul mare. Nei suoi ambienti sono stati rinvenuti affreschi in secondo stile e pavimenti a mosaico.
Villa dei Papiri
L’unica villa d’otium rinvenuta a Ercolano è la “Villa dei Papiri“. Situata al di fuori della mura della città, venne ritrovata nel 1750 ed esplorata tramite cunicoli fino al 1761. Oggi è ancora in parte interrata e inesplorata, coperta da oltre 25 metri di materiale piroclastico formatosi a seguito delle eruzioni del 79 e del 1631. La villa apparteneva a L. Calpurnius Piso Pontifex (o ad Appius Claudio Pulcher). Al suo interno sono state ritrovate 58 statue in bronzo e 21 in marmo e una collezione di oltre 1 700 papiri (chiusi in casse, appartenenti alla biblioteca della casa). Si tratta di una piccola parte dell’intera collezione ancora da ritrovare e i papiri trattano di testi filosofici scritti sia in latino sia in greco.
Edifici pubblici
La “zona del Foro“, quasi del tutto ancora interrata, è un’area, interdetta all’accesso dei carri, divisa in due da un arco rivestito in marmo e affreschi e ornato con statue. Nella sua parte orientale si svolgevano le attività civiche, mentre in quella occidentale le attività economiche.
La “Basilica Noniana“, costruita durante il periodo augusteo e restaurata dopo il terremoto del 62 per volere di Marco Nonio Balbo, è ancora quasi completamente interrata. L’unica porzione riportata alla luce è un tratto del muro perimetrale lungo il cardo III. Al suo interno sono stati rinvenuti numerose statue, alcune equestri, raffiguranti la famiglia di Balbo, una testa in marmo con resti di colorazione ai capelli e agli occhi e diversi affreschi in quarto stile, come quelli delle fatiche di Ercole. Costruita, secondo un’epigrafe, da Marcus Nonius Balbus, la Basilica fu esplorata fra il 1739 e il 1761 tramite cunicoli ed è ancora oggi interrata.
Nei pressi delle Terme Suburbane si apre un’ampia piazza dedicata a Marco Nonio Balbo e al suo monumento funerario. Si tratta di una delle personalità più famose di Ercolano, tanto che gli vennero dedicate oltre 10 statue, nonché uno dei maggiori benefattori della città, in quanto restaurò e costruì nuovi edifici pubblici. Il suo altare funerario è rivolto verso il mare e su una base in marmo era una statua raffigurante Balbo vestito da una corazza.
Edifici ludici
Le “Terme Suburbane” sono posizionate al di fuori della mura cittadine, nei pressi di Porta Marina e dell’area funeraria dedicata a Marco Nonio Balbo. Frequentate indistintamente sia da uomini sia da donne, che condividevano gli stessi ambienti, presentano ampie finestre lungo i muri perimetrali e lucernari sul tetto. Superato l’ingresso, si trovano due stanze di servizio per il controllo dei bagnanti: al loro interno vennero ritrovati numerosi graffiti, alcuni anche di tipo erotico.
Le “Terme del Foro” furono costruite in epoca giulio-claudia, con muri perimetrali realizzati sia in opus reticulatum sia in opus incertum e divisa internamente nella sezione maschile e in quella femminile, seguendo in larga parte lo stesso schema delle Terme del Foro di Pompei. Nella zona femminile si conservano diversi mosaici come quello in bianco e nero del corridoio, quello che raffigura Tritone con un timone nell’apodyterium e quello a disegni geometrici, foglie d’edera e tridenti del tepidarium. La zona maschile conserva diversi mosaici, come una copia del Tritone del reparto femminile e diverse pitture. Entrambi gli ambienti termali erano attrezzati di piscine, collegate direttamente a una complessa rete idrica, dotata di ruota idraulica, da cui attingere acqua.
Le “Terme di Nord-Ovest” sono state ritrovate nel 1990 e soltanto parte dell’intero complesso è riportato alla luce. Di dimensioni eccessive rispetto alle reali esigenze della città, si suppone potessero ospitare anche persone provenienti dai paesi circostanti. L’edificio riportato alla luce si è conservato praticamente intatto, coperto ancora dal tetto e illuminato da numerose finestre e nicchie. Internamente è stato ricavato un ninfeo, con ai lati due piccole porte che conducono a una stanza sul retro, mentre al centro è posta una piscina per bagni di acqua calda. Del complesso termale è stato inoltre esplorato parte di un colonnato, nei pressi del quale è stata rinvenuta una barca e lo scheletro carbonizzato di un cavallo, e una scalinata in marmo, che portava al mare, ornata con fontane, piscine e giardini.
La “Palestra“, scavata per due terzi, presenta una serie di botteghe sovrastate da piccole abitazioni date in affitto. L’ingresso era ornato con due colonne, in parte crollate, e una volta affrescata a cielo stellato, di cui sono rimasti pochi frammenti. Internamente presenta un triportico in ordine corinzio e al centro una vasta area alberata con una piscina, una vasca rettangolare (utilizzata come vivaio) caratterizzato da alcune anfore incassate nella parete, per la deposizione delle uova. Nella sala centrale della palestra dovevano essere presenti statue, mai rinvenute, raffiguranti i membri della famiglia giulio-claudia, mentre è stato ritrovato un tavolo in marmo. All’interno della palestra furono rintracciate anche numerose statue di divinità egizie, probabilmente trascinate dalla furia eruttiva dal vicino Tempio di Iside, non ancora scavato ed esplorato.
Il “Teatro di Ercolano” è stato il primo edificio della città a essere rinvenuto, nonché il primo di tutti gli scavi archeologici vesuviani. Situato in una zona decentrata rispetto al parco archeologico, è ancora interrato e visitabile solamente attraversando una serie di cunicoli. Dal tipico impianto romano, con una capienza di oltre 2500 persone, la parte della cavea era ornata da numerose statue in bronzo, alcune delle quali di tipo equestre e diverse andate perdute in quanto fuse in epoca borbonica per ricavarne monete.
Edifici religiosi
Nella parte meridionale della città (nei pressi della linea di costa) al di sopra di una terrazza sorretta da strutture a volta, sorgeva un’area sacra, che ospitava due templi, dedicati rispettivamente a Venere e alle 4 divinità. Il “Sacello di Venere“, costruito nella parte meridionale dell’area sacra, fu completamente restaurato a seguito del terremoto del 62 per volere di Sibidia Saturnina e del figlio Furio Saturnino. Anche quello dei “4 dei” fu restaurato dopo il terremoto del 62. Al suo interno sono stati ritrovati 4 rilievi arcaistici, raffiguranti Minerva, Mercurio, Nettuno e Vulcano.
Il “Collegio degli Augustali” venne costruito tra il 27 e il 14 a.C., quando Augusto, cui era dedicato, era ancora in vita. L’edificio è a pianta quadrata, con pareti ad archi ciechi, 4 colonne centrali e pavimento in cocciopesto, mentre il piano superiore era in opus spicatum. La maggior parte gli affreschi rinvenuti sono in quarto stile (spicca la raffigurazione di Ercole nell’Olimpo con Giove, Giunone e Minerva ed Ercole con Acheloo). Fu, inoltre, rinvenuto al suo interno lo scheletro del custode disteso sul letto.
Attività commerciali
La “taberna di Priapo” era così chiamata per l’affresco di Priapo sul bancone. All’interno della quale fu rinvenuto un dolium contenente delle noci e una taberna vasaria, senza alcun bancone di vendita, che conservava numerose anfore, tra cui alcune in nero con caratteri greci e terrecotte.
La “bottega del plumbarius“, collegata all’atrio della casa del Salone Nero, reca un lungo bancone di blocchi di calcare bianco sulla facciata. In origine, forse, era un’officina metallurgica (come testimonia il ritrovamento di un crogiolo di fusione, dei vasi di terracotta utilizzati per il raffreddamento dei pezzi, strumenti di ferro, lingotti plumbei e pezzi di tubazioni).
Anche la “bottega ad cucumas“, era collegata alla casa del Salone Nero. Sul pilastro d’ingresso è conservata un’insegna dipinta che raffigura 4 brocche, cucumae, di vario colore, con l’indicazione del prezzo per tipo di bevanda e la scritta “Ad cucumas”. Al di sopra di essa si trova la raffigurazione di una divinità romana, Semo Sancus, mentre nella parte bassa una scritta in rosso, che riporta il nome della città di Nola.
La “bottega del lanarius“, ricavata dalla casa del Tramezzo di Legno e dotata di un piano superiore, era occupata da un mercante di panni ed era composta da una stanza a pianta quadrata, con un pavimento in battuto. Al suo interno venne rinvenuta, carbonizzata a seguito dell’eruzione, una pressa a vite di legno, utilizzata per la lavorazione della lana.
La “Grande Taberna“, nei pressi della Palestra, è caratterizzata da un bancone a forma di L, rivestito di marmi policromi, al cui interno sono inserite otto giare per le derrate alimentari. Sui ripiani marmorei alle sue estremità si appoggiavano le stoviglie e il vasellame per servire le vivande. La bottega è composta da diversi ambienti retrostanti, in uno dei quali si trova il dipinto di una nave e alcuni graffiti.
Antica Spiaggia e Fornici
Attraverso un moderno tunnel che attraversa lo spessore del materiale vulcanico, si raggiunge l’antica “spiaggia cittadina“, che si trova a tre metri sotto l’originario livello. I primi scavi di questa zona suburbana furono intrapresi da Amedeo Maiuri negli anni 1940-42 e 1952-57. Convenzionalmente essa è indicata come “terrazza meridionale” e poggia su una serie di arcate che delimitano i cosiddetti “fornici“.
Giuseppe Maggi, negli anni ’80 del ‘900, continuò gli scavi intrapresi da Amedeo Maiuri con il doppio scopo di definire meglio l’assetto dell’area e drenare più efficacemente le acque che invadevano le terme suburbane.
Grazie ad essi furono rinvenuti sull’antica linea di costa i resti di una piccola imbarcazione e oltre 300 scheletri di persone uccise dall’eruzione del 79 d.C. Gli scheletri sono stati ritrovati all’interno di 9 dei 12 fornici, antistanti il litorale e che venivano utilizzati come magazzini o ricoveri per le barche.